torna al menù

 

 

Domenico Bellinzier – (

 

 

1964 - Un ventiquattrenne di Alleghe si impone prepotentemente all’attenzione del mondo alpinistico con una salita d’eccezione.

La grande volontà di Domenico Bellinzier nel riuscire a salire il pilastro Nord Ovest della Torre d’Alleghe è forte: lascia soli i due amici, che lo hanno aiutato a risalire lo zoccolo iniziale, in attesa del suo ritorno che è previsto nella giornata. I due ”poveracci” restano bloccati lì in quanto sono privi della corda necessaria per poter scendere. Ben presto però per il solitario Domenico Bellinzier le cose si complicano e ai due amici non resta che passare una notte all’addiaccio. Nel racconto del giornalista Giuseppe Sorge, veniamo a conoscenza di cosa accade a Domenico Bellinzier, il quale giunto ad una cengia, si trova di fronte ad un enorme placca grigia: «Sopra la cengia l’enorme lavagna grigia incombe misteriosa e minacciosa. Per più di un’ora Domenico la esplora con meticolosità. Ma quella parete levigata dall’acqua non svela i suoi segreti, non offre possibilità di appigli, non lascia intravedere prospettive di passaggio. Domenico Bellinzier si rende conto di aver inseguito un sogno irrealizzabile: la via non è tracciabile. Grida agli amici che non può proseguire, che deve rinunciare. Ma anche il problema della rinuncia non si presenta di tanto facile soluzione. Non riesce a piantare un solo chiodo per calarsi a corda doppia. Come può quindi ritornare? La drammatica situazione non ha che una via di uscita: proseguire.

Domenico riprende ad ispezionare con maggior attenzione la parete ed alla fine la sua perseveranza riceve il premio. Sei metri sopra la cengia scorge una fessura. Ogni sua facoltà si concentra su quella piccola anomalia della roccia. Sembra un canalino scavato dall’acqua che si perde qualche metro più in alto». Alessandro Gogna prosegue così il racconto: «Ma la fessura non era tale. E lì inizia la lunga odissea, chiodi messi doppi nelle fessure cieche, passaggi di libera estrema. Bellinzier forò con il suo punteruolo, per piazzare il primo dei suoi cinque chiodi a pressione, per accorgersi che la sezione del chiodo era più larga del buco di 1,5 millimetri! Tra queste orribili difficoltà tecniche riuscì a mettere alla bell’e meglio 3 chiodi a pressione, riuscendo così a superare il tratto più liscio. Ma non era finita, e per tutto il giorno fu una lotta al limite della caduta. Solo dopo il bivacco, una provvidenziale fessura lo portò fuori dalle difficoltà e quindi in cima».

Oltre ai 3 chiodi ad espansione, Domenico Bellinzier usa 50 chiodi e 2 cunei di legno per tracciare una delle più difficili vie delle Dolomiti.